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Riflessioni e considerazioni di un uomo qualunque. Parte seconda


L’ amore verso mio figlio è inevitabile e nei suoi occhi vedo tutto quello che mi serve per sentirmi ripagato. Credo che possa anche non amarmi o non dimostrarmi amore, non lo criticherò per questo, ma avrà sempre da me l’esempio dell’amore e dell’affetto verso chi si ama veramente. Perché diciamocelo francamente, l’amore, l’affetto si coltivano giorno per giorno, non sono sentimenti dovuti solo per il fatto di essere fratelli e sorelle, padri e figli. Sono cinico? Irrispettoso di chi mi ha donato la vita e di chi nelle vene ha il mio stesso sangue? No, non credo e come me credo molti la pensino così. Di sicuro è triste dover ammettere certe cose, molto triste. Non mi aspetterò mai che mio figlio mi ami come io amo lui, ma mi auguro che sappia imparare da me, o che io sia in grado di insegnargli, che nulla è dovuto, ma tutto si conquista. L’amore non è una merce di scambio, non si discute su questo, ma io lo amo, lo amerò e cercherò di conquistarmi il suo amore. Giuro! Ma torniamo al fatto che, se riflettiamo, neanche chissà quanto, le nostre vite veramente dipendono da circostanze più o meno casuali. Per esempio: l’incontro con la donna della propria vita che potrebbe accadere in qualsiasi luogo o momento e pregiudicarne il corso; le scelte scolastiche, la semplice decisione di fare e dove un viaggio e così via si potrebbe continuare con innumerevoli esempi. La cosa affascinante sarebbe poter sapere che svolta avrebbe avuto la nostra vita se avessimo fatto una scelta piuttosto che un’altra, se avessimo scelto una strada invece di un’altra. E se si inventasse un videogioco sull’argomento? Con i computer che esistono oggi, potentissimi, ma che tra poco lo saranno dieci se non cento volte di più grazie alla trasmissione dei dati attraverso la luce, si potrebbero immagazzinare talmente tante notizie e variabili che forse potrebbe essere possibile! Pensa che gioia sapere che la scelta fatta è stata la migliore e che tristezza, dolore o rabbia o ancor di più se quella scartata era invece la migliore. Ma in ogni caso che cosa affascinanate poter vivere vite parallele! Torni a casa la sera, accendi il tuo computer, e vedi te stesso che in quello stesso istante, trasformato nel tuo altro io, sta facendo esattamente la stessa cosa vicino al monitor del suo computer! Non mi bastano le gioie e i dolori, le soddisfazioni e le delusioni di questa mia vita da volerne un’altra? Per me sarebbe un gioco affascinantissimo, sarei io il primo a comprarne una copia pirata, ma no, adesso che ci penso, non potrebbero esistere copie pirata, perché il gioco dovrebbe essere personalizzato di volta in volta e continuamente aggiornato; una bella faticata, una sorta di mega “tamagogi” o come cavolo si chiama, ma che secondo me, affinata la tecnologia, affinati tutti i contenuti del caso, sarebbe l’invenzione del millennio. Ne sono sicuro. Io sicuro? Ma dai scherzo, non sono mai sicuro di niente perché dovrei esserlo adesso? Forse sarà solo un grande business per la casa produttrice. In fondo accade anche quando si legge un libro di vivere vite parallele, almeno a me capita spesso di immedesimarmi talmemte tanto nella storia e nella vita del protagonista da diventare tutt’uno con lui e non vedere l’ora di continuare a leggere per andare avanti nella storia, ma soprattutto per viverla, come se il tempo si fosse fermato nell’attimo esatto in cui ho chiuso il libro e riprendesse a scorrere solo quando lo riapro e ricomincio a leggere. Tutto quello che è successo tra la chiusura del libro e la sua riapertura rappresenta la vita reale, che sembra non avere la stessa importanza della storia che si sta vivendo nel libro. Io personalmente, ma come me chiunque, assumo un tono di voce che credo meglio si adatti al protagonista del mio libro, a volte ne ho una descrizione fisica e lo immagino di persona, ma anche gli altri personaggi hanno una loro caratteristica fisica ed un tono di voce e così invece di essere solo un personaggio, ne siamo tanti, ma solo ad uno ci leghiamo in particolar modo, lo imitiamo addirittura, più o meno consapevolmente. Leggere rappresenta, secondo me, una delle esperienze creative più valide, dove ci si costruisce intorno un mondo intero. Vero è che non è creato da noi perché è l’autore il vero artefice della creazione della storia, ma noi la rendiamo viva, entriamo dentro come se la storia, i personaggi, i luoghi, immobili all’interno delle pagine, non aspettassero che noi per vivere, come una sorta di meccanismo perfetto, un carillion, un grande orologio, che si ferma nel momento in cui chiudi il libro e ricomincia a muoversi quando lo riapri. Se avvicinassimo un orecchio al libro e chiudessimo gli occhi, forse potremmo sentire il suono dei tanti piccoli ingranaggi inesistenti che regolano e scandiscono il tempo delle nostre emozioni. Che emozione ti può dare un parallelepipedo di carta, all’apparenza insignificante, di sicuro immobile, quindi statico, spesso coperto di polvere, dimenticato su di uno scaffale insieme a tanti altri parallelepipedi di carta! Chissà se di notte, i personaggi dei libri “evadono” dalle loro pagine ed entrano in quelle di altri per creare storie fantastiche, mai scritte e raccontate da nessuno! Chissà! Quando finisco di leggere un libro, a prescindere dal fatto che mi sia piaciuto o meno, (anche se in definitiva i libri, per il discorso fatto, mi piacciono tutti perché è come se rappresentassero una parte della mia vita) sono sempre un pò triste, mi manca sempre qualcosa, rivivo le immagini, le scene, i momenti più importanti della storia e ne sento la mancanza. La vita vera, poi, quella scandita da un’apertura e chiusura di un libro, prende il sopravvento e mi trascina dentro i suoi meccanismi dannati, affascinanti e imprevedibili, dove non puoi mai andare avanti all’ultima pagina e leggere il finale della storia. Il che non sempre rappresenta un male. Chi di noi vorrebbe sapere in anticipo che fine faremo? Cosa ci accadrà? Come continuerà la nostra vita, quali gioie e quali dolori ci riserva il futuro? Chissà se potessimo leggere il libro della nostra vita, da vivi, e non farlo leggere ad altri dopo la nostra morte, avremmo il coraggio di farlo? Si perderebbe il gusto di vivere, forse, la vita stessa. Ma poi mi chiedo: se veramente leggessi la storia della mia vita e in alcune circostanze non mi piacesse, potrei cambiarla? Di sicuro no! Altrimenti si dovrebbe riscrivere il libro stesso, non vi pare? E nel libro troverei anche scritto che un giorno avrei letto quel libro. È un discorso complesso, diabolico, quello relativo al futuro, nel quale, una volta entratoci non riesci più ad uscirne illeso! Altrettanto contorto risulta tentare di spiegare perché è impossibile viaggiare nel tempo. A parte il fatto che l’attuale tecnologia non ce ne offre la possibilità, almeno a noi comuni mortali, perché forse lì, nella cupola dove sono concentrati i più grandi scienziati, pensatori e creativi del nostro mondo, l’hanno già inventata e già ci giocano e lasperimentano. È talmente difficile che anche Steven Spielberg nel suo film “Minority Report” ha commesso un grave errore, secondo me. Non so quanti di voi hanno visto il film, comunque molto interessante e ricco di effetti speciali, la cui vicenda principale, la previsione che il protagonista commetterà un omicidio, si basa su un errore concettuale che è proprio di chi si imbatte nel discorso “futuro”. Tom Cruise, capo della “precrimine”, un’istituzione poliziesca che avvalendosi dell’aiuto di tre esseri umani dalle capacità preveggenti, riesce ad evitare che i crimini siano veramente commessi nella realtà perché i propri agenti riescono ad intervenire un attimo prima che questi accadano. Tutto procede bene fino a quando i “precog” prevedono che Tom Cruise commetterà un omicidio e quindi egli stesso diventa un ricercato che deve essere bloccato e imprigionato prima che commetta il crimine. L’ errore sta nel fatto che la “guardatina” per così dire, nel futuro, non deve modificarlo, ed infatti questo intelligentemente non accade, ma non può essere neanche artefice delle azioni che il protagonista incomincerà a compiere dal momento in cui ne diventa consapevole: il presente del protagonista comincia ad essere diverso in funzione di quello che lui ha visto che succede nel futuro. Se non avesse saputo prima che lui sarebbe diventato un assassino, non avrebbe avuto quel tipo di comportamento che affettivamente lo porterà a quel futuro. Sono stato chiaro? Ma ritorniamo a noi. Allora pensiamo un attimo. Abbiamo finalmente costruito la macchina del tempo. Viaggiamo! Andiamo nel passato, non dico tanto lontano, andiamo al giorno di ieri, per esempio. Io ero al lavoro, in ufficio e mentre ero con un cliente. All’improvviso, in una macchina bellissima, scintillante di colori e di luci, come non se ne erano ancora viste se non nei film di fantascienza, è arrivata mia moglie! Cielo, mia moglie, meno male che stavo con un cliente e non una cliente, magari avvenente e alquanto seducente. Ok, supponiamo fosse andata così, allora forse potrei credere, che raccontandomelo oggi, sia arrivata dal futuro. Ma ieri, in ufficio, non è arrivata una moglie in nessuna splendida meraviglia tecnologica, ovvero nel mio presente (ieri) non c’è stata alcuna traccia di questa cosa, quindi, dato che il passato e il futuro non sono modificabili, se tornassi indietro ad ieri in ufficio, cambie- rei quello che è stato il mio passato, mentre era il mio presente, e questo non è possibile! E nel futuro? Si può viaggiare nel futuro, dato che non è ancora vissuto? Ok, prendiamo la nostra fantastica macchina del tempo e andiamo a domani. Che viaggio, eh, pero? Domani mattina, come al solito, uscirò di casa per andare al lavoro. Se mentre esco dal portone di casa, incontro un’avvenente signora che esce da una fantastica macchina e mi viene incontro, penserò che sto ancora dormendo e sognando! Se la incontro forse non andrò più al lavoro, ma se mi dicesse che viene dal passato potrei crederle sicuramente. Ma allora si può viaggiare nel futuro? Si nel futuro si può viaggiare, ma facendo solo il viaggiatore. Se si rimane semplicemente, si fa per dire, dei viaggiatori-osservatori, non interferendo con il corso “normale” della propria vita, si può andare avanti nel futuro tranquillamente, ma non si può fare altro. Non posso vivere una vita normale, poi di tanto in tanto dire: “andiamo a vedere cosa farò domani o cosa mi succederà così cambio le cose.” Questo non si potrà mai fare, secondo me, cioè cambiare gli eventi. Forse potremmo un giorno spostarci nel tempo, ma come osservatori, vivendo solo in quell’ottica di viaggiatori. Come dei grandi esploratori che dall’alto della loro navicella osser- vano il mondo sottostante. La cinematografia e la tecnologia già ci hanno più volte portato a spasso nel tempo, devo dire con esiti titubanti, basti pensare a “Spazio 1999”. Io Maja non l’ho ancora incontrata, ma più che lei avrei voluto incontrare la sua truccatrice… “2001 Odissea nello spazio” di Kubrick, invece, anche ammetto di non essere sicuro di aver capito tutto, (e l’ho visto più di una volta!) mi dà (uso il presente perché il film mi continua a suscitare curiosità, interesse, emozione…) una visione del futuro, che poi paradossalmente è già passato, come dire… istituzionale! Ecco!… A proposito di futuro, chissà quale altra cosa geniale si inventeranno per spillare soldi a cauti, ma forse meglio dire ingenui, utenti. Di cosa sto parlando? Tempo fa sono andato a casa dei miei genitori che si lamentavano di strani aumenti della bolletta del telefono, anzi, per meglio dire, di strane voci all’interno della bolletta, relative a canoni extra del tipo “chi è”. “Il chi è” è appunto un servizio di Telecom Italia, a pagamento allora, attraverso un canone mensile, gratuito oggi grazie alla tecnologia, che ti permetteva e ti permette, attraverso un display sul telefono, di conoscere ancor prima di rispondere, chi ti sta chiamando. È evidente che chi non ha il ricevitore idoneo è inutile che abbia atti- vo un servizio del genere, vi pare? Ebbene loro l’avevano attivato? Come? Telefonicamente! Si perché loro, di pugno, non avevano mai sottoscritto nulla in merito, ma mi raccontava mio padre, dopo enormi sforzi di memoria per risalire alla causa di questa attivazione inutile, che aveva ricevuto una telefonata, da parte del gestore di telefonia, che lo invitavano a provare questo servizio e bla bla bla… Immaginate un pensionato di circa settanta anni quanta voglia abbia di ascoltare un rampante giovanotto che al telefono ti propone qualcosa. Ebbene, attraverso questo stratagemma, il servizio, a pagamento, inutile per mancanza dell’apposito ricevitore, è stato attivato! Passato un bimestre, passati due, se non me ne accorgevo io, avrebbero continuato a pagare! Ho chiamato la Telecom che subito ha provveduto ad eliminare il servizio che stranamente avevavo attivato ma del quale nel frattempo avevano ricevuto il pagamento. Adesso proviamo a moltiplicare questi soldi di almeno due bimestri per chissà quanti milioni di utenti e vediamo cosa esce fuori! Cifre a sei zeri di euro entrati nelle casse del gestore a titolo di “favore”. A me per esempio questo servizio non è stato neanche proposto, chissà come mai! Ma possibile che non bisogna fidarsi di nessuno? Neanche di chi per anni, quando aveva il monopolio delle telecomunicazioni, ti ha fatto pagare a peso d’oro ogni cosa? Ma vi ricordate per esempio, all’inizio, quanto bisognava pagare di anticipo conversazioni per avere il tanto desiderato telefonino? Anticipo conversazioni? Cioè si facevano pagare prima quello che forse avresti speso di telefonate che poi ti avrebbero restituito a fine contratto? E gli interessi? Ce li hanno mai restituiti? Il fatto è che noi pensiamo sempre singolarmente e non riflettiamo sul fatto che questi casi “personali” vanno moltiplicati per milioni di volte, quindi milioni di migliaia di lire (all’epoca) depositate in banca a titolo gratuito, cioè in cambio di niente, per mesi se non anni, con interessi che maturavano su cifre enormi. E chi ha goduto di questi interessi? Per carità, non per far polemica, così tanto per riflettere e come se non bastasse, quando hanno potuto prenderti tutto il prendibile, adesso che la concorrenza ha messo un pò le cose al meglio, ci fregano, o cercano di fregarci; anzi, non sono loro che ci fregano, ma siamo noi che non teniamo gli occhi e le orecchie ben aperti. Ma come possiamo difenderci dagli “attacchi“ di chi ci vuole estorsere denaro a titolo di beneficenza? Di questi esempi se ne potrebbero fare tantissimi. Quello che mi viene in mente prima di ogni altro, è relativo agli sconti sui prodotti natalizi subito dopo il 25 dicembre. Solitamente fino al 24 dicembre un panettone costa intorno agli 8 euro, il 27 dicembre con la stessa cifra ne compri tre! Allora forse si pensa che la produzione è stata esagerata e dunque per smaltire le scorte si danno sottocosto. Ma cavolo ogni anno è così! Se ne producono sempre in quantità spropositata. Possibile? Mi verrebbe più facile da pensare che strapaghiamo un prodotto che effettivamente costa e soprattutto vale, molto meno di quello che si spende per acquistarlo. Questa cosa, poi, assume aspetti macroscopici nel periodo dei saldi, soprattutto sull’abbigliamento. Io, ormai, non compro più niente a prezzo pieno, ma solo in saldi. Perché devo pagare il doppio una cosa che posso avere alla metà? Tanto la trovo sempre e comunque anche nei saldi. E forse, in questo periodo, la pago un prezzo molto più vicino al suo valore reale. Per carità, la paghiamo sempre chissà quanto in più, ma in un certo senso è anche giusto così, i negozianti hanno le loro spese di gestione e non voglio entrare nel merito di tanti fatti che non conosco, ma forse dobbiamo fare attenzione, perché il “branding” ci fa pagare oltre modo cose che non valgono poi così tanto. Il Branding cos’è? Molto semplicemente tutto quello che ci fa credere che noi abbiamo bisogno di una cosa e quindi la dobbiamo acquistare. Tradotto dall’ inglese, nel linguaggio pubblicitario significa concetto, inteso soprattutto come somma di associazioni emotive e di rappresentazioni simboliche, che il pubblico ha di una marca o anche l’immagine che un’azienda ha saputo creare attorno al suo marchio. Non molto tempo fa pensavo, ma lo faccio ancora, in verità, che tra le persone, amici soprattutto, ci si dovrebbero scambiare le cose. A casa mia, nel mio armadio, ci sono molti giubbini, per esempio, che ho da tanti anni, anche decenni, che non butto via perché mi piacciono ancora e poi si sa, prima o poi le cose tornanano di moda! Comunque capita che certe cose non si indossano più non tanto perché sono diventate consumate o si rompono, ma perché ci stanchiamo di vederle. È certamente vero che le mode giocano anche su questo aspetto, cioè l’abitudine a vedere una cosa, sempre la stessa, alla fine piace anche a te che all’inizio eri un pò titubante. Quindi, allo stesso modo, dicevo, una cosa non ti piace più perché non si uniforma con quello che l’occhio si sta abituando a vedere in giro, e cioè il solito esercito di omini tutti uguali e senza personalità. Ma cosa accade: viene qualche amico a casa, vede una cosa nell’armadio e mi chiede se può metterla, dal momento che gli ho fatto presente che ormai non la indosso più. E così anche io, quando vado a casa sua, potrei continuare ad usare qualche suo capo di abbigliamento, ancora in ottimo stato, ma caduto in disgrazia per motivi legati ad altri fattori. Sarebbe bello, no? Le cose non durerebbero una sola stagione, ma continuerebbero ad essere apprezzate e quindi usate da altri. Si dovrebbe fare così anche con le automobili. Ma ci pensate? La mattina usciamo e decidiamo di prendere un’ auto piuttosto che un’ altra fra quelle parcheggiate sotto casa, tutte, neanche a dirlo,aperte, con stereo e benzina e aria condizionata, per poi lasciarle dove capita e se magari a qualcuno serve la prende e se ne va via. Secondo me fra le tante stronzate che ho detto questa è tra le più grosse, però, a rifletterci, potrebbe dar da pensare. Quante cose non sarebbero più uguali se succedesse una cosa del genere. Primo fra tutti non esisterebbero i ladri d’auto, ma a proposito, chi le compra? E gli antifurti? Quello con le palle, quello satellitare, quello che agisce sull’erogazione del carburante? Tutti in pensione. Quante persone rimarrebbero senza lavoro! O quanti non avrebbero più biso- gno di un lavoro, perché quasi quasi con quello che costa mantenerla, un’ automobile, non basta lo stipendio di un operaio, che le automobili le fabbrica. Ieri pensavo, ancora una volta, che le automobili diventano sempre più veloci e sofisticate ma non altrettanto adeguatamente si evolvono le strade e tutto ciò che favorisce una corretta e sicura viabilità, sia in città che in autostrada. Addirittura la segnaletica rasenta l’indecenza. Mi piacerebbe, prima di continuare, fare una premessa che ritengo fondamentale: affinchè ci sia una corretta comunicazione (e questo vale per tutti i campi) c’è bisogno di un codice comunicativo, ovvero un insieme di segni pertinenti, che non siano mai casuali e slegati fra loro, ma abbiano appunto una comune chiave di lettura. Un esempio banale: noi tutti italiani comunichiamo attraverso un codice, l’alfabeto, che consta di 21 segni che combinati fra loro danno vita alle parole che a loro volta genarano i concetti che vogliamo esprimere. L ’alfabeto funziona perché rappresenta una comune chiave di lettura per tutti quelli che l’adoperano. A Napoli, in auto, viaggiando tra autostrada e tangenziale notavo, per esempio una cosa. Spesso ci capita di vedere cartelli segnaletici sovrapposti, uno che indica una direzione ed un altro la direzione opposta, quello di sopra indica sempre la destra e quello di sotto sempre la sinistra. Magari! Questa potrebbe essere una banalissima e semplicissima chiave di lettura per leggere un segnale senza bisogno di distrarci molto dalla guida. Invece, questo piccolo “stratagemma” non si applica. Per non parlare dei cartelli di divieto posti alla sinistra della strada che non si deve transitare! Ma vi pare normale? Se il senso di marcia è a destra, per legge, perché metterlo a sinistra? E chi lo sa! Sono sciocchezze, queste, i problemi delle nostre città sono ben altri, ci mancherebbe altro che fare polemiche su queste stupidaggini, tanto poi chi li rispetta i segnali? A Napoli, sempre a Napoli, (vivendoci non posso fare a meno di vedere certe cose) i marciapiedi sono diventati, grazie alla normativa europea per l’abolizione delle barriere architettoniche, le corsie preferenziali dei motorini. Per non parlare del motorino, che almeno nella mia adorata città, tutto rappresenta tranne che un mezzo di trasporto (almeno per una certa fascia di età). Vedi questi poco più che neonati sfrecciare come dei pazzi allucinati, magari su di una sola ruota, talmente veloci da pensare che stiano facendo tardi al loro primo giorno di lavoro, ma che dico lavoro, alla loro prima vera scopata (in questo caso forse sarebbero giustificati) e se poi ti prude la testa di far loro riflettere che stanno sfrecciando sul marciapiedi o in pieno centro all’uscita della scuola, senti una puzza forte di copertone bruciato, una repentina inversione di marcia, magari ripassando sopra ad un corpo appena schiacciato, e vengono a chiederti spiegazione sulla tua reazione, chiedentoti magari: “ma non vedi che vado di fretta?” Arricchito da qualche colorito ma per nulla intimidatorio appellattivo. Allora mi chiedo (a me stesso, mica a loro): “ma cavolo, se vai di fretta perché magari ti sta morendo tua nonna e vuoi andare ad estorcele l’ultima pensione, dove trovi il tempo di prenderti una questione, a torto, con me?” Ma in fondo son ragazzi, sono impulsivi, irrequieti, sempre a scontrarsi per motivi generazionali, fanno le loro battaglie quotidiane e così crescono e si fanno uomini, cosa c’è di male, chi di noi non ha avuto il suo momento di ribellione contro tutto e tutti! Li chiamano scontri generazionali ed a Napoli se ne vedono tanti: quindicenne che investe pensionato sulle strisce pedonali! Cosa vuoi che sia? Uno scontro generazionale, no! Il motorino. Io non l’ho mai avuto, il motorino. Ho imparato a guidarlo (alla meno peggio, diciamo), utilizzando quello di qualche mio amico, ho fatto qualche piccolo incidente, ma uno mio non l’ho mai avuto. Papà mi compri il motorino? Io questa domanda non l’ho mai fatta, forse anche perché mio padre il motorino non me lo poteva comprare, anche se, forse, avessi insistito avrebbe fatto i debiti per farmelo avere. Invece non lo volevo, il motorino, che cavolo è il motorino, un diminutivo di motore, e a chi lo volete dare il diminutivo di qualcosa, io volevo il motore, non il motorino, quello l’ho lasciato ai bambini, perché ci giocassero. Il motore, si, quello mi sarebbe piaciuto, ma il motorino, come a voler dire “tiè non vali molto e ti dò il motorino”. Quasi un’offesa. Ho fatto bene io a non chiederlo mai, ma ancora meglio i miei genitori, che pur di non umiliarmi, non me l’hanno mai comprato. Di questi tempi, i giovani hanno preso coscienza del loro stato sociale e non vogliono sentirsi inferiori a nessuno ed infatti non esiste più il motorino ma lo scooter. Ma ci rendiamo conto che andare a sbattere a quindici Km all’ora equivale a cadere giù dal terzo piano? Gli scooter sono trappole mortali in mano ai ragazzini che il più delle volte neanche conoscono il codice della strada. E a cosa serve conoscere il codice della strada se neanche si rispetta? Beh! almeno sai quando sarà la tua assicurazione a pagare o quella dell’altro. L’assi che? Ah si quella cosa che oggi si fa anche per telefono o su internet! No, no! Non il sesso virtuale, l’assicurazione quella cosa che… No, no! Non il preservativo che ti assicura dal non contrarre malattie infettive. Contra che? No, no! Ma che contrazione, anzi! Questi “mostri” su due ruote fanno rabbrividire i più abili funamboli del circo, ma spesso la loro capacità di sopravvivenza, perché di quello si tratta a guidare uno scooter così come vedo che si guida a Napoli, è direttamente proporzionale alla loro ignoranza. Eppure io credo che la cultura sia una cosa importante. Occorrerebbe che tutti, giovani e meno giovani, ci chiedessimo sempre il perché delle cose, cercando di capire, leggendo la storia passata, quello che può accadere in futuro, bisognerebbe non perdere mai di vista le grandi avventure dell’uomo nella ricerca del progresso, della democrazia, della libertà, o presunta tale. Perché in un paese dove il capo del Governo è proprietario e controlla i principali, se non tutti, mezzi di comunicazione, un pò viene da chiederselo se siamo liberi o meno. Eppure pensiamo che sia più importante scorazzare con uno scooter sui marciapiedi che leggere un giornale e chiedersi il perché delle cose. Oppure in alternativa allo scooter, una bella partita a playstation 2, 3, 847… Non voglio o non vorrei essere pesante, per carità, ma, da uomo qualunque quale sono (è un pò che non lo ripetevo!) mi sembra che si stiano perdendo veramente i valori della vita. Non si distingue più ciò che è buono da ciò che non lo è; quello di cui abbiamo bisogno da ciò che è superfluo. (Lo so mi ripeto…!) Ho appena finito di leggere “Baudolino”, di Umberto Eco, un libro bellissimo, che veramente potrebbe essere adoperato nelle scuole per dare nuove motivazioni ai giovani, a tutti noi, perché tutti siamo giovani se davanti a noi vediamo ancora tanto da costruire. Il problema, forse, è proprio che nessuno vuole costruire più niente di nuovo. Baudolino è veramente un libro bellissimo, ma una cosa mi ha insegnato Umberto Eco (molto meno profonda della ricerca da parte dell’uomo di un qualcosa che dia senso alla propria vita), in un suo altro libro, “Il pendolo di Foucault”: quanto tempo occorre per contare fino ad un miliardo. Quanto tempo occorre per contare fino ad un miliardo? Non immaginate quante volte l’abbia chiesto ad amici e colleghi; chi mi ha risposto un’ora, chi un giorno, chi un mese… In verità, qualora fossimo così bravi da contare un numero al secondo, che finché si conta fino a poche centinaia di numeri ci si riesce, ma quando arrivi a 347.457.873, per esempio, come fai a dire questa cifra in un secondo? Ebbene, occorrerebbero trentadue anni, perché un miliardo di secondi equivale a trentadue anni! Ci avevate mai pensato? Qui mi ripeto: per vedere meno deficienti in giro, basterebbe che tutti leggessimo un pò di più, e badate che deficiente non è un’offesa. Deficiente vuol dire mancante di qualcosa e niente di più. E a tutti noi manca qualcosa, chi non desidera qualcosa che non ha, chi è che non è deficiente, quindi? Ultimamente per motivi di salute di mio padre, io, insieme alla mia famiglia, stiamo frequentando innumerevoli ospedali di Napoli e della sua splendida provincia. Se dovessi augurare qualcosa di cuore a qualcuno che voglio bene, di sicuro gli augurerei di non aver mai bisogno di frequentare una struttura ospedaliera pubblica di pronto soccorso o ricovero! Per carità, non è retorica, la mia, si parla tanto di malasanità, di strutture inefficienti, personale carente e chi più ne ha più ne metta! Pazienza, bisogna pur capire che le emergenze sono tante e tali che la perfezione non è auspicabile e tantomeno che le cose funzionino sempre a puntino, ma che spesso, e noi come famiglia ne siamo una testimoniamza diretta, si rimane vivi per pura casualità è veramente drammatico! Eppure è così, non voglio entrare nello specifico della situazione, ma se non si fa la voce grossa, se non ci si imbatte in persone veramente coscienziose che sanno guardare aldilà del loro infimo “io”, allora si rischia veramente grosso. Mio padre credo sia vivo per miracolo, nel senso che se non si fossero verificate una serie, neanche una soltanto, di circostanze favorevoli, l’avrebbero con tutta tranquillità mandato allo sbando per ospedali e pronto soccorsi con un’embolia in corso! Questa non è malasanità, questa è pazzia! Perché purtroppo, in molti casi, non soltanto negli ospedali, dove chiaramente la cosa può assumere risvolti drammatici, ci imbattiamo in degli emeriti imbecilli che ricoprono posizioni di responsabilità! Non me ne voglia nessuno, ma non c’è niente di più pericoloso di un cretino che deve decidere. Spesso, per strada, si vedono circolare in automobile tipi con dei volti a dir poco sospetti, in atteggiamenti a dir poco “anomali” e la polizia stradale che fa? Ferma me! Ebbene si! Invece di mettere la paletta davanti alla loro automobile ferma me! Io, con la cintura di sicurezza allacciata, nei limiti di velocità, con l’auricolare per il telefonino, mentre è appena passata un’altra automobile che andava veloce, occupata da tipi strani senza cinture di sicurezza, la polizia stradale che fa? Controlla me! Assurdo! A volte penso che abbiano timore a fermare veramente chi è in contravvenzione o sembra essere un tipo poco raccomandabile. Fateci caso: le persone fermate dalla polizia stradale per controlli, o sono donne, o sono persone all’apparenza rispettabilissime e di fatto, magari, ancora di più. Sarà un caso! A volte, questi tutori dell’0rdine pubblico, sono insopportabili, ostentano una superiorità presunta che dà molto fastidio, credono di essere più importanti di te solo perché indossano una divisa. Ma non rappresentano anche essi lo Stato? Non dovrebbero mostrarsi gentili e disponibili nei confronti del cittadino? E invece sembrano essere soltanto dei deficienti arroganti e presuntuosi, dico sembrano, eh, per cari- tà! Mi sbaglio di sicuro. Ma quelli che hanno fermato me, almeno, tanto gentili e disponibili non lo erano affatto. Non me ne vogliano, non me ne voglia nessuno, non ce l’ho con loro, ma la mia è soltanto una considerazione in seguito a esperienze personali. Forse sono io che suscito nelle persone un atteggiamento di diffidenza. Ma torniamo agli ospedali. I medici curano i pazienti. O meglio i medici si dovrebbero prendere cura di persone che hanno molta pazienza o che comunque sono costrette ad averne tantissima per non scatenare vere e proprie rivoluzioni. Eppure a pensarci bene quella del medico più che una professione dovrebbe essere una missione: aiutare il prossimo a star bene, alleviarlo dal dolore, accudirlo durante la convalescenza, curare, appunto, nel senso di prendersene cura. Così come ciascuno di noi si prende cura, si preoccupa, delle persone più care, moglie, mamma, figlio… Invece, almeno a Napoli, negli ospedali, i medici non si prendono affatto cura dei malati, ma piuttosto si comportano come dei meccanici. Avete presente quando vi si rompe l’automobile e la dovete riparare? Bene, mettiamo il caso che l’auto perde olio, la si porta dal meccanico che la ripara brillantemente e si ritorna a circolare con la macchina felici e contenti. Ma per- ché l’auto perdeva olio? Forse a parte il problema oggettivo a monte c’è un problema più grosso che andrebbe risolto? Forse, ma chi se ne frega, al momento funziona e questo è l’importante e se poi dovesse tornare a rompersi e il guaio fosse più complesso, tanto di guadagnato (per il medico delle auto!) Ecco! Questo succede negli ospedali. Infarto? Operazione immediata. Brillante operazione d’urgenza salva il malato. Dopo i necessari e dovuti giorni di degenza via a casa, sperando che non si “rompa” di nuovo il malato! Le uniche persone di cui i medici si prendono veramente cura, ma veramente, sono loro stessi. Dov’è finito lo spirito che animava quelle giovani e altruistiche anime desiderose di far del bene al prossimo, curandone i mali e le sofferenze? Bo? Ma è mai esistito questo nobile scopo o è solo un’illusione di noi comuni malati? Veramente si fa questa a dir poco straordinaria professione per il bene altrui? Io dico di no e se lo dico ho seri motivi per pensarlo avendo vissuto di persona esperienze drammatiche ma tristemente comuni ad un gran numero di gente. Non si tratta di malasanità, per carità, le vite si salvano sul serio, ed è anche vero che con tutte le emergenze che si verificano quotidianamente negli ospedali quei poveretti di milionari di medici non possono salvare vite e successivamente assisterle, è impossibile. Loro fanno i bravi meccanici, riparano e arginano il problema egregiamente, ma quando un giocattolo comincia a rompersi, molto spesso è l’inizio della fine, pian piano, rottura dopo rottura, scotch dopo scotch il giocattolo è destinato a non divertire più. La sorte appare scritta, oggi il cuore, domani il fegato, un altro giorno i polmoni, poi il cervello… Ma perché tutto questo? Con la tecnologia che rasenta il miracoloso, non si può far si che un malato oltre ad avere una pronta, quando succede, riparazione, non debba essere informato dettagliatamente e istruito sulle cause del pro- prio malore o sofferenza? Perché il problema è proprio qui: se mi prendo cura, mi preoccupo di sapere, non lascio il tutto all’episodio contingente con cui si manifesta il problema, ma vado oltre, indago, studio, ricerco, mi informo, verifico, confronto, cioè mi prendo veramente cura, allora si che il malato, anche se segnato da un male doloroso e debellante, si sentirà veramente curato, oltre che nel fisico anche e soprattutto nel morale. La malattia, purtroppo ci sta, fa parte dlla nostra vita, la dobbiamo accettare, ma la superficialità, la “maccanicità”, l’essere equiparati a delle macchine, no, non può essere e non deve essere contemplata. Eppure a pensare ai chirurghi mi viene la pelle d’oca. Sono fantastici: tagliano, operano, legano, sondano, cuciono, entrano nelle viscere dei nostri corpi, ci rivoltano, ci tolgono dei pezzi e li sostituiscono con altri (ma saranno ricambi originali?), ci ridanno la vita, ci rimettono apposto, molto spesso intervengono sul nostro destino che non aveva previsto che la tecnica e la tecnologia potessero darci altri giorni da vivere, tra corsie di ospedali e lettini di pronto soccorso, tra le materne mani di medici incuranti. A cosa servono il progresso, la scienza, la ricerca scientifica, se tutto deve essere vanificato dalla fin troppo evidente mancanza di umanità e rispetto per il prossimo? Quello che conta, o che dovrebbe contare, è la consapevolezza che ognuno di noi, potenziali malati (e qui ci si gratta…) abbiamo il nostro bagaglio di esperienza, la nostra unicità che ci rende degni di considerazione, non di pietà. Testimonianze certe di caldi componenti che messi insieme, non sempre brillantemente, non in serie o ad una catena di montaggio, hanno dato vita a macchine meravigliose con tanti optional difficilmente riproducibili e minimamente imitabili, degni di considerazione non fosse altro che per la fantastica capacità di amare e gioire, piangere e ridere, commuoversi e pensare, odiare e sbraitare, in una sola parola, vivere, che molti credono sia solo il nome di una soap-opera italiana. “Incantesimo”, “Commesse”, “Un posto al sole”, “Carabinieri”, “Distretto di polizia”, “Cento vetrine”… e chi più ne ha più ne metta, situazioni di vita pseudo-reale, ai limiti del comico, ma non per i contenuti simpatici o goliardici, ma un pò come capita di quei film dell’orrore malfatti che fanno ridere per la ridicolaggine degli effetti e delle situazioni tragiche. Questi sceneggiati promuovono vite lontanissime dalle nostre ma per questo motivo intriganti, interessanti, imitabili, e invece io penso, veramente dequalificanti non per la qualità degli attori piuttosto che delle sceneggiature, ma per la leggerezza con cui ci identifichino in stereotipi e luoghi comuni, negandoci quella cosa tipica dell’essere umano e cioè la sua unicità. Forse, come mi capita spesso, sto dicendo un cumulo di sciocchezze, ma che ci volete fare, io sono napoletano e se non parlo, “mor’” (muoio). Avete visto il film “The Truman show”? Ebbene io molto spesso, soprattutto in questo periodo (mi riferisco a quello post 11 settembre) dopo quello che ho avuto modo di sentire, di vedere e leggere, su internet e su un libro, soprattutto, “Guerra alla Libertà” di Nafeez Mosaddeq Ahmed, penso che in qualche modo siamo tutti vittime di un grande, megagalattico, incredibile Truman show! Ma come è possibile, questo è proprio impazzito! Ricordate la cupola nella quale penso siano riuniti i più grandi cervelloni del mondo che progettano, studiano e dettano le mode e le tendenze della nostra vita? Bene, dopo gli avvenimenti catastrofici dell’11 settembre e dopo tutto quello che si è detto, ma non attraverso le fonti e i canali tradizionali, c’è da credere che siamo tutti presi per i fondelli. Nella famosa cupola, da non confondersi con quella mafiosa, (che per carità merita la stessa stima, perché in effetti certi personaggi, a pensarci bene, se avessero impie- gato le loro grandi potenzialità mentali a fin di bene e non per scopi illeggittimi e malavitosi, avrebbero certamente dato benefici alla collettività). Ma poi mi chiedo, e se è tutto un grande gioco? Potere legittimo e illeggittimo creato da quello legittimo per garantire e giustificare altre cose? E viceversa? Quali cose? Non lo so, in verità, a voi la voglia di documentarvi, ma io, come sempre, parlo di sensazioni, una sorta di empatia, la mia; considerazioni personalissime, un voler pensare e riflettere a voce alta, magari sbagliando, ma la libertà di pensiero e parola credo l’abbiamo ancora tutti, no? Ancora per poco? Forse già è molto limitata, vero? Comunque, dicevo, nella famosa cupola costruiscono, forse, le nostre vite, ci fanno credere cosa sia il bene e quale il male, chi sono i cattivi e chi invece i buoni. “Dai ragazzi, creiamo un’epidemia mostruosa, che fa puzzare tutti, della quale abbiamo già l’antidoto, facciamo soffrire un pò di gente, e poi facciamo la scoperta sensazionale dell’antidoto contro la puzzellite! Fantastico, no? Titoli a nove colonne, successo, fama, Nobel, apparizioni nei programmi televisivi più seguiti…. Dai allora facciamo così: tu sei in crisi? Bene, compra un pò di azioni della merdolat (ogni riferimento, anche solo “sonoro” è puramente casuale), scriviamo che hanno fatto una ricerca che porterà nel giro di due anni a triplicare i fatturati, le azioni salgono, le rivendi, fai soldi e poi tutti felici e contenti. Gli stati Uniti vogliono a tutti i costi intensificare la loro presenza in Medio Oriente e Asia per accrescere le loro zone di influenza? Hanno bisogno di un prestesto? Bene facciamo finta che esiste un terrorista potentissimo che può creare danni enormi e andiamolo a bombardare! E quali sono questi danni che può creare? Potrebbe per esempio abbattere le Torri Gemelle! Ma dai, neanche il cinema è arrivato a tanto! Ma noi siamo la realtà! Ok dai! Sai che clamore, il mondo intero vorrà vederli tutti morti, ma che dico morti, annientati, schiacciati quei bastardi e fottutissimi terroristi! Cristo! (Questa parola non manca mai nei film americani, così come: “è uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo”). La Fiat è in crisi? Ma dai, con quei cessi di automobili che fa dovrebbe avere chiuso da anni, altro che crisi! Per carità, tutto il rispetto per quelle migliaia di persone, operai, che lavorano nelle fabbriche e che rischiano il posto, ma voi le avete viste le ultime automobili della Fiat? Dico, esteticamente, vi sentite di dare un giudizio? Paragonandole alle altre delle case produttrici concorrenti le automobili della Fiat sono oggettivamente brutte. E se l’avessero fatto apposta? Ci pensate? Hanno deciso di investire milioni per costruire auto che poi non si vendono e che avrebbero portato al fallimento? Ma dai, è assurdo! No il fallimento no, ma a vendersi alla concorrenza straniera, si, E che altro possono fare pur di non fallire? Io una giustificazione “normale” non riesco a trovarla. Le automobili sono brutte, costano come quelle della concorrenza che le produce più belle e tecnologicamente avanzate, ma perché dovrei acquistare una Fiat? Datemi un motivo valido! Forse pensare che l’abbiano fatto premeditatamente è un pò forzato, ma quale eco avrebbe avuto la notizia che la Fiat, l’Azienda italiana per eccellenza, stava decidendo di vendersi? Ma come un’ industria con prodotti validi, concorrenziali, tecnologici, decide di chiudere, ritirarsi? Ci potrebbero essere cose che noi comuni mortali neanche riusciamo lontanamente ad immaginare dietro tutto quello che succede e che solo apparentemente sembra causato da motivi fin troppo evidenti da non condividerli e giustificarli? Qualcuno muove le fila, e noi, burattini di carne, dobbiamo crederci! Io per quello che mi riguarda, nel mio piccolo, penso, considero, rifletto, magari sbagliando, ma almeno con la mia testa. E se non fosse la mia la testa con la quale credo di pensare? Se fossimo già arrivati al punto di credere di pensare con la nostra testa mentre invece dalla “cupola dei miracoli” ci inviano tanti consigli utili… per pensare?

 
 
 

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